You can't see the forest for the trees

Angoscia. Un turbinio di sentimenti assillanti.
L’aria è densa ed opprimente, il respiro si fa affannato.
Siamo all’esterno, è una bella giornata, eppure i miei occhi mi trasmettono una visione ovattata, indefinita.
Le pupille accolgono gradualmente la luce del giorno: uno spiazzo erboso, circondato da alberi, e più in là, una distesa collinare, fino alla fine dell’orizzonte.
La tachicardia che progressivamente aumenta, la testa gira vorticosamente, senza una ragione precisa.
E poi, di colpo, la paura. La paura folle, incondizionata, di non essere in grado di sopportare il presente.
Come se qualcosa di orribile, di non controllabile, stesse per accadere. Come se da un momento all’altro il corpo potesse spegnersi, sopraffatto da quel vortice di sensazioni malevole.


Ci viene detto spesso
che è il contesto a fare tutto.
A definire un’atmosfera, a delineare un clima, a spingere le persone ad agire in un determinato modo piuttosto che un altro. Veniamo costantemente condizionati dallo spazio circostante, dagli stimoli sensoriali, dal concerto che è il mondo in cui viviamo.
Forse sarebbe meglio parlare, da subito, di due dimensioni.
Una è quella reale, oggettiva, che un osservatore esterno non avrebbe difficoltà a definire (che sia piacevole, malinconica, caotica, e via dicendo), ed una invece che è molto più soggettiva, intima, recondita.Non sempre la situazione in cui siamo inseriti corrisponde al nostro stato psicoemotivo.
Il lavoro riflette sul dualismo di queste due dimensioni, ponendo l’attenzione sul contrasto tra lo stato psicoemotivo del soggetto e il contesto ambientale in cui è inserito, che, in questo caso sono in antitesi.